Descrizione
nella sala d’aspetto del paradiso
accanto a Davide tuo fratello
sceso a prenderti per mano
ti starai presentando per quello che sei
un angelo
che verrà a darci un’invocazione
pari all’estensione della tua giovane età confusa nella morte
un enorme e stellato canto del paradiso
dove la parola di dio trova
la sua caratura nel rumore dell’alba.
«La morte e le parole di solito non vanno d’accordo. In realtà la morte non va d’accordo con niente. Ma le parole sono l’unico mezzo che possediamo per allontanarci dal dolore e dargli un senso.
Anche se quasi sempre le nostre frasi finiscono nella retorica; anche perché nessuno dall’altra parte ci può rispondere.
E mentre appunto di là, ammesso che si possa chiamare così, c’è un mistero che si svela, o che entra in un altro mistero ancora, qui tutto ciò che sappiamo dire è –condoglianze–, oppure –ha smesso di soffrire–, o –si è addormentato–, come se la sapessimo lunga su ciò che succede dopo.
Forse solo la poesia può raccontare qualcosa intorno alla morte
E questo perché utilizza un linguaggio non usuale, che scava, un linguaggio ormai addirittura quasi sconosciuto ai più che può perfino permettersi di manipolare la retorica e piegarla per un altro obiettivo: tentare di colmare il vuoto che le parole lasciano davanti alla morte.
Dunque, forse solo la poesia può raccontare di un ragazzo che muore e dei genitori che gli sopravvivono. Qualcosa di così estremo che in genere le lingue non contemplano una parola che definisca un genitore che perde il proprio figlio. Solo in ebraico esiste una parola, Shakul: il ramo della vite vendemmiata da cui viene strappato un grappolo; la linfa cola e non sa dove fluire. La vite che rinsecchisce, abbandonata da un pezzo della sua stessa esistenza.
Ecco perché forse solo la poesia riesce a dire della morte parole che affondano il colpo, che non risolvono nulla ma che non ci illudono. Portano coraggio. Guardano la morte in faccia e le sputano contro un esametro. ».
– Cesare Davide Cavoni
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